In occasione della pubblicazione delle nuove linee guida per la malattia emorroidaria, a cui ha contribuito alla redazione la Dott.ssa Raffaella di Renzo, Medico Chirurgo dell’Unità di Chirurgia Generale a indirizzo oncologico presso la Casa di Cura Pierangeli di Pescara, abbiamo chiesto a lei e al Prof. Pierluigi Di Sebastiano, Direttore dell’Unità Operativa di Chirurgia Generale a indirizzo oncologico della Casa di Cura Pierangeli di spiegarci in cosa consistono e che benefici apportano alla pratica clinica

La Casa di Cura Pierangeli si distingue a livello nazionale e internazionale come punto di riferimento per le linee guida sulla gestione della malattia emorroidaria, sia acuta che cronica, che recentemente sono state pubblicate sulla rivista scientifica Annals of Proctology, frutto di un impegno collettivo da parte dei membri della Società Italiana Unitaria di Colon-Proctologia (Siucp). Abbiamo avuto l’opportunità di approfondire questo tema con la Dott.ssa Raffaella Di Renzo, Dirigente Medico Chirurgo dell’Unità di Chirurgia Generale a indirizzo oncologico presso la Casa di Cura Pierangeli di Pescara e referente regionale Siucp, che ha partecipato alla redazione delle nuove linee guida. Insieme a lei, abbiamo intervistato il Prof. Pierluigi Di Sebastiano, Direttore dell’Unità Operativa di Chirurgia Generale a indirizzo oncologico della Casa di Cura Pierangeli, per capire la portata e le implicazioni di queste nuove raccomandazioni cliniche.
In cosa consiste la malattia emorroidaria?
Dott.ssa Di Renzo: Le emorroidi sono strutture anatomiche presenti nel nostro corpo formate da cuscinetti vascolari posti nel canale anale. Grazie a legamenti costituti da tessuto connettivo e muscolare, tali strutture normalmente sono ben ancorate e sono in grado di mantenere la corretta posizione all’interno del canale anale. La funzione principale del tessuto emorroidario è quella di ottimizzare la continenza, ovvero di aiutare a mantenere il controllo dell’ano, contribuendo alla chiusura ermetica quando non si sta andando di corpo e facilitando il passaggio delle feci durante la defecazione. Prima di evacuare, le emorroidi contribuiscono anche alla complessa funzione sensoriale che aiuta a percepire quando è il momento di andare in bagno. La malattia emorroidaria si verifica quando il tessuto di supporto che dovrebbe mantenere in posizione queste strutture si deteriora, portandole a scivolare verso il basso; inizialmente, questo spostamento avviene dentro il canale anale, ma può progredire fino a fuori dall’ano e provoca i sintomi tipici della malattia, come sanguinamento, irritazione e prurito, fino a condurre a complicazioni come la trombosi (ovvero, la formazione di un coagulo di sangue all’interno dei vasi, che limita o impedisce la circolazione sanguigna, ndr). A seconda della gravità e dell’insorgenza dei sintomi, la malattia emorroidaria può essere classificata come acuta o cronica: la prima, nota anche come “crisi emorroidaria”, è caratterizzata da sanguinamento persistente o dolore anale acuto dovuto a dilatazione delle emorroidi, trombosi o da un possibile strangolamento; al contrario, la fase cronica della malattia prevede periodi di benessere con sintomi lievi tra gli episodi acuti.
Quali sono (se ve ne sono) i fattori critici nella sua gestione e trattamento?
Dott.ssa Di Renzo: La gestione della malattia emorroidaria prevede una combinazione di diverse strategie, tra cui cambiamenti nello stile di vita, trattamenti a casa, farmaci e, nei casi più gravi, interventi chirurgici. Il trattamento scelto dipende dalla gravità dei sintomi e da come il paziente risponde alle terapie conservative, cioè quelle che non prevedono un intervento chirurgico. È importante considerare i cambiamenti nello stile di vita e nella dieta, poiché migliorare l’alimentazione e le abitudini quotidiane può essere d’aiuto. Inoltre, si possono assumere farmaci via orale o utilizzare terapie topiche per ridurre il dolore e l’infiammazione e avere determinate accortezze per limitare i sintomi e prevenire altri disturbi legati alla malattia emorroidaria. Nei casi in cui i trattamenti semplici non funzionano, si possono valutare opzioni minimamente invasive o, in situazioni più gravi, ricorrere a interventi chirurgici. È fondamentale anche valutare i fattori di rischio che possono aggravare la situazione e informare i pazienti sull’importanza di affrontare il problema in tempo. Spesso, le persone non cercano aiuto per imbarazzo, ma educarli sulla gestione precoce delle emorroidi può portare a risultati migliori e ridurre la necessità di trattamenti più invasivi.
Quali sono i punti chiave di queste linee guida per il trattamento della malattia emorroidaria?
Prof. Di Sebastiano: Le linee guida per il trattamento delle emorroidi suggeriscono di seguire un percorso graduale: si comincia con misure semplici, come cambiamenti nello stile di vita e terapie topiche. Se i sintomi non migliorano, si possono considerare trattamenti minimamente invasivi; nei casi più gravi o persistenti, poi, le linee guida suggeriscono di ricorrere a interventi chirurgici. È importante adattare il trattamento alle esigenze di ogni paziente e prevenire la comparsa di recidive attraverso una gestione di questa condizione a lungo termine.
Dott.ssa Di Renzo: Le raccomandazioni possono essere riassunte in alcuni punti chiave: prima di tutto, si definisce che cosa è la malattia emorroidaria. Poi si approfondisce il ruolo della diagnostica, che può includere esami endoscopici, radiologici o funzionali, per capire meglio la condizione del paziente. Un altro punto fondamentale è l’uso di approcci conservativi, che dovrebbero essere adottati inizialmente. Si discute poi qual è il ruolo dei trattamenti ambulatoriali per la malattia emorroidaria cronica. Infine, si parla del ruolo della chirurgia, facendo attenzione sia alle tecniche tradizionali sia a quelle innovative ed emergenti.
Come è stato il processo di redazione delle linee guida?
Prof. Di Sebastiano: La creazione delle linee guida per il trattamento delle malattie avviene attraverso un processo ben definito e basato su evidenze scientifiche. Innanzitutto, si forma un comitato di esperti composto da specialisti della malattia, ricercatori, epidemiologi, rappresentanti dei pazienti e, a volte, esperti di metodologia. Questo gruppo definisce le principali domande cliniche che le linee guida devono affrontare, seguendo un modello (noto con l’acronimo PICO) che si concentra su quattro elementi: il gruppo di pazienti studiato, l’intervento da valutare, gli interventi alternativi da confrontare e i risultati clinici desiderati. Questo passaggio serve a focalizzare la ricerca e lo sviluppo delle raccomandazioni su aspetti clinicamente rilevanti. Una volta stabilite queste domande, si procede a una revisione sistematica della letteratura scientifica: si analizzano tutte le prove disponibili provenienti da studi clinici, sperimentazioni randomizzate controllate, meta-analisi e altri tipi di ricerca scientifica. Gli studi sono selezionati e valutati sulla base di criteri di qualità metodologica (ovvero di come sono stati impostate e/o condotte le ricerche); per valutare la qualità delle evidenze trovate, si utilizza il sistema GRADE, che classifica le prove in alta (gli studi forniscono risultati consistenti e affidabili), moderata (gli studi hanno alcune limitazioni, ma l’affidabilità dei risultati è ancora considerata buona), bassa (gli studi presentano numerosi limiti metodologici e i risultati potrebbero essere meno affidabili) e molto bassa qualità (gli studi presentano numerosi limiti metodologici e i risultati potrebbero essere meno affidabili). Sulla base delle evidenze raccolte, il gruppo di esperti elabora raccomandazioni per il trattamento della malattia. Queste raccomandazioni possono essere forti, quando ci sono prove solide a supporto di un intervento, o deboli, se le prove sono meno convincenti o ci sono incertezze sull’efficacia. Prima della pubblicazione finale, le linee guida vengono sottoposte a una consultazione pubblica. Una volta approvate, vengono rese disponibili ai medici e agli operatori sanitari attraverso piattaforme specifiche.
Dott.ssa Di Renzo: Per creare queste linee guida si è seguito un processo ben definito, come illustrato dal Prof. Di Sebastiano. È stata condotta una ricerca accurata e completa utilizzando diversi database di studi scientifici, per trovare risposte basate su evidenze alle domande relative alla diagnosi e al trattamento della malattia emorroidaria. Questa ricerca ha coperto un periodo dal luglio 1975 fino a novembre 2023 e ha incluso studi prospettici e retrospettivi, trial randomizzati, meta-analisi e revisioni della letteratura scientifica. In totale, dopo vari processi di selezione, sono state utilizzate 277 pubblicazioni e 21 capitoli da libri di testo. Le raccomandazioni sono state classificate come deboli o forti, in base allo schema di valutazione GRADE e alla qualità degli studi. Tutte le domande sono state discusse da un gruppo di esperti nominato dalla Società Italiana Unitaria di Colon-Proctologia (Siucp); le discussioni si sono svolte in più sessioni seguendo l’approccio Delphi, raggiungendo un accordo su ogni affermazione. Il coordinatore centrale ha raccolto le risposte da ogni sessione e, con l’aiuto del gruppo di esperti, ha redatto le linee guida. Tutti gli esperti hanno contribuito allo sviluppo delle linee guida e il manoscritto è stato esaminato e approvato da tutti gli autori.
Come implementerà la Casa di Cura Pierangeli le nuove linee guida nella pratica clinica quotidiana?
Prof. Di Sebastiano: L’implementazione delle linee guida cliniche in una clinica richiede un approccio strutturato per garantire che le raccomandazioni basate sull’evidenza vengano tradotte in pratica quotidiana. È cruciale la partecipazione di tutto il personale clinico (medici, infermieri, tecnici), che deve essere coinvolto nel processo decisionale fin dall’inizio per garantire una transizione fluida. Tutti i professionisti della clinica devono essere formati riguardo le nuove linee guida: per fare questo potrebbero essere necessari seminari, sessioni di formazione interne, corsi di aggiornamento o formazione online. Inoltre, le linee guida potrebbero necessitare di piccole modifiche per adattarsi al contesto specifico della clinica: ad esempio, in base alle risorse disponibili (strumenti diagnostici, farmaci, personale), alcune raccomandazioni potrebbero dover essere prioritarizzate o implementate gradualmente. Le linee guida devono essere tradotte in protocolli operativi che i medici e il personale possano seguire nella pratica clinica quotidiana.
Quali sono i vantaggi per i pazienti e gli specialisti derivanti dall’applicazione di queste linee guida?
Dott.ssa Di Renzo: Le linee guida sono progettate per aiutare i medici a fare scelte informate, migliorare la qualità delle cure e adottare un approccio basato su evidenze scientifiche: utilizzare questo strumento porta benefici sia ai pazienti che agli specialisti. Per i pazienti, le linee guida si basano sulle migliori evidenze scientifiche, il che significa che ricevono trattamenti che sono stati dimostrati efficaci. Questo riduce le differenze nei metodi di cura e aumenta le possibilità di esiti positivi. Seguendo queste raccomandazioni, i medici possono evitare errori e ridurre il rischio di trattamenti non necessari, rendendo le cure più sicure. Inoltre, le linee guida garantiscono che la qualità delle cure sia uniforme, indipendentemente dal luogo in cui il paziente riceve assistenza, il che è fondamentale per le malattie croniche o complesse. Per gli specialisti, le linee guida offrono un quadro chiaro per prendere decisioni complesse, riducendo l’incertezza e aiutando a gestire le patologie secondo gli standard scientifici migliori. Questo aiuta a evitare pratiche obsolete e assicura che i trattamenti siano coerenti tra diversi medici, il che è utile quando più medici trattano lo stesso paziente. L’uso di protocolli standardizzati rende la gestione del paziente più efficiente, permettendo ai medici di risparmiare tempo e dedicarsi maggiormente a cure personalizzate. Inoltre, seguire le linee guida protegge i medici da accuse di negligenza, poiché dimostra che hanno agito secondo le migliori pratiche. Adottare queste linee guida aiuta anche i medici a rimanere aggiornati sulle ultime ricerche e a migliorare le loro competenze. Infine, sono uno strumento utile per formare nuovi medici, offrendo riferimenti chiari su come affrontare condizioni specifiche e migliorando la supervisione nelle situazioni didattiche.
Prevedete aggiornamenti futuri delle linee guida in base a nuove evidenze o esperienze cliniche?
Prof. Di Sebastiano: Le linee guida devono essere riviste e aggiornate regolarmente, solitamente ogni 3-5 anni o quando emergono nuove evidenze scientifiche significative. Gli aggiornamenti tengono conto di nuove ricerche, tecniche, trattamenti o cambiamenti nelle pratiche cliniche.
Fonti:
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